CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE SUL FABBISOGNO FORMATIVO E PROFESSIONALE
ITALIANO
di Annamaria Venezia - Responsabile Formazione MICROSOFT Italia
Il sistema economico-produttivo italiano in questi mesi sta riflettendo sul
proprio rilancio competitivo e sul ruolo che le tecnologie dovranno ricoprire
in questo processo.
In questo senso, importanza fondamentale è attribuita - e lo testimoniano
i molteplici sforzi realizzati in questi mesi su questo tema - a:
- l'individuazione di profili professionali coerenti con le esigenze
immediate e future del sistema economico;
- i percorsi formativi necessari per costruire le competenze dei professionisti
richiesti dal sistema nazionale.
In queste pagine si rifletterà in modo particolare sui fabbisogni professionali
e formativi che emergono nel settore dell'ITC (Information e Communication Technology),
con l'obiettivo di approfondire l'impatto che gli investimenti in formazione
possono avere sul sistema economico nazionale, tanto a livello di redditività
aziendale che di variabili macro-economiche.
INVESTIMENTI IN FORMAZIONE: RIFLESSIONI SULLA REDDITIVITÀ AZIENDALE E SULLE VARIABILI MACRO-ECONOMICHE
APPROCCIO ECONOMICO-AZIENDALE
Alcuni studi ci aiutano a tracciare il profilo di imprese "ad alto consumo
di formazione" (alto livello di spesa totale in formazione per dipendente).
Si tratta di un'analisi realizzata nel 1992 su 67 grandi imprese italiane operanti
nel settore IT (Information Technology), di cui si esaminerà il profilo
e i risultati relativi al rapporto tra investimenti in formazione e redditività
di impresa (P. Carducci, "La valutazione degli investimenti in formazione",
Scuola Superiore Guglielmo Reiss Romoli, 1995).
Il profilo emerso è quello di un'azienda che, indipendentemente dal proprio
settore di attività, è:
1. distribuita sul territorio,
2. operante anche su mercati internazionali,
3. con enfasi particolare sulla qualità,
4. caratterizzata da processi di alta tecnologia ed input immateriali sofisticati.
Dal punto di vista economico-finanziario, i dati emersi dall'analisi mettono
in evidenza grandi differenze tra la redditività operativa delle imprese
ad alto consumo di formazione (cf) e le altre. Seguono i dati:
Tale ultima affermazione è stata, e continuerà ad esserlo, oggetto
di approfondimenti teorici e di analisi empiriche ma ci conduce direttamente
alla considerazione della formazione come input intermedio dei processi di produzione.
Tutto questo risulta ovviamente enfatizzato nell'area del terziario, dove la
crescita si basa su una rete di servizi intermedi che si diversificano assai
velocemente ed in cui la formazione di nuove competenze (intesa come strumento
di mantenimento ed accrescimento degli "intangible assets") diventa
indispensabile per il vantaggio competitivo del sistema.
Purtroppo però, evidenze empiriche caratterizzate da una certa significatività
statistica mostrano che gli investimenti in formazione sono in grado di esercitare
il proprio effetto sulla redditività d'impresa con ritardo rispetto agli
altri input di produzione (intervallo temporale superiore ai 3 anni).
Per cui il processo di conversione dei processi produttivi a seguito dell'introduzione
di nuove competenze e nuovi profili professionali, soprattutto se non supportato
da interventi strutturali sul sistema economico-produttivo, corre il rischio
di essere troppo lento rispetto alle esigenze di crescita del sistema stesso.
APPROCCIO MACRO-ECONOMICO
Venendo quindi all'impatto che investimenti e processi formativi hanno sulle
variabili macro-economiche di un sistema produttivo, è interessante rilevare
che sin dagli anni '60 il capitale umano ha accresciuto il proprio ruolo nelle
teorie che esaminavano i processi di crescita economica; tuttavia è a
partire dai primi anni '80 che studi econometrici ed evidenze empiriche hanno
cercato di cogliere il legame tra sviluppo delle risorse umane e sviluppo economico
dei sistemi nazionali, grazie anche alla spinta di organismi internazionali
quali la Banca Mondiale.
Svariati studi condotti su paesi del mondo a differenti livelli di sviluppo
hanno portato alla considerazione che:
Tali rilevazioni fanno riferimento ad alfabetismo non specificamente informatico;
se invece focalizziamo l'attenzione sull'area Information Technology, le precedenti
considerazioni diventano ancora più interessanti se riferite alla realtà
italiana ed alla informatizzazione del nostro Paese.
Con riferimento al nostro sistema economico, è sempre più diffusa
l'idea che la domanda di lavoro (povera dal punto di vista di competenze
professionali) espressa dal sistema produttivo nazionale sia l'espressione,
in termini sia quantitativi che qualitativi, di una ridotta capacità
di creare valore e di innovare da parte del sistema stesso.
Pur nella persistenza di alcuni dati positivi quali:
resta la percezione di una ridotta capacità di conversione dell'economia italiana dalle attività tradizionali a quelle più avanzate ed a maggiore redditività.
Non a caso nel confronto tra i 7 paesi più industrializzati condotto
dall'OCSE nel 1998, la variazione del numero di occupati italiani nel terziario
tra il 1993 ed il 1998 ha mostrato un calo dell'1,2%. Ed inoltre, dall'analisi
diacronica della domanda di lavoro fatta dal sistema Excelsior con riferimento
al biennio 1999-2000, è emerso che delle 418.000 assunzioni previste
nei servizi (circa 36.000 in più rispetto allo scorso anno) più
del 40% è riservato a figure per le quali non è richiesto alcun
titolo di istruzione.
Una capacità di innovare e di produrre valore ancora lenta quindi.
La stessa crescita occupazionale rilevata di recente, più che alla luce
di un vero sviluppo economico, sembra interpretabile come una re-distribuzione
del volume di lavoro espresso dal nostro sistema in condizioni di stand-by dell'economia
- attraverso strumenti che accrescono la flessibilità del mercato del
lavoro.
In presenza di una crescita del PIL dell'1,3% (tra il 1997 ed il 1998) corrispondente
a 160.000 unità di lavoro standard, infatti, il mercato del lavoro ha
espresso una domanda di lavoro incrementale - al netto delle uscite - di 228.000
posti (di cui 120.000 a tempo parziale).
Si tratta di dati che, alla luce delle precedenti riflessioni sulla relazione
tra formazione e crescita economica, trovano in qualche modo una propria coerenza
nel confronto con gli investimenti in training (specificamente IT) rilevati
negli anni passati (Rapporto Assinform 1999).
Il mercato della formazione IT è infatti passato da 770 miliardi nel
1996 ad 849 nel 1998, registrando un tasso di crescita anno su anno del 3,9%
nel periodo 1996-97 e del 6,1% in quello 1997-98. Il confronto tra il tasso
di crescita di quest'area e quello consolidato dei servizi nazionali (che è
passato dall'8% a circa l'11%) mostra gli ampi spazi di potenziamento offerti
dall'area.
Viene fatto quindi di riflettere sulla necessità di ri-configurare
il sistema economico, il mercato del lavoro e le competenze professionali richieste
dal sistema economico-produttivo, in modo da sviluppare le aree a maggior valore.
In proposito l'OCSE ha individuato molteplici condizioni per la crescita dell'occupazione
(job strategies): strategie che favoriscono la competitività, lo sviluppo
dell'innovazione e delle tecnologie, l'imprenditorialità e le agevolazioni
fiscali-finanziarie, la collaborazione tra PMI ed i centri di ricerca-trasferimento
tecnologico (tipica, quest'ultima, di paesi quali Francia, Germania ed Austria).
In tutte le job strategies elencate, rimane valida la considerazione che all'interno
di questo processo di riorganizzazione del sistema (sia esso considerato come
sistema di imprese, di catene del valore o di nuove nicchie di business), l'Information
e Communication Technology esprimerà sempre un ruolo centrale e trainante.
Come peraltro testimoniato dal 72% delle aziende leader in settori strategici
per l'economia italiana (alimentare, farmaceutico, bancario e finanziario, meccanico
ed automobilistico) che entro i prossimi 12 mesi investiranno nei nuovi modelli
tecnologici di business (Rapporto Assinform 1999).
L'intervento di conversione economica deve però accompagnarsi ad altri interventi che rendano possibile il recupero del ritardo. È necessario infatti che esso si integri con le opportune politiche del lavoro, con un sistema di istruzione-formazione adeguato e con un rapporto di collaborazione attiva ed efficace con i grandi operatori del mondo informatico. Che significa, ad esempio:
Secondo i dati OCSE del 1998, la spesa pubblica italiana per l'istruzione è
pari al 4,7% del PIL (penultima in Europa, prima della Grecia) contro una media
europea del 5,9%; la spesa destinata agli aiuti alle famiglie ed agli studenti
(dato del 1995) è invece pari allo 0,15% (superiore solo a quella spagnola
e portoghese).
Sarebbe quindi importante implementare politiche e programmi volti a sostenere
l'investimento delle famiglie in formazione ed accesso alle nuove tecnologie
(ISFOL, Formazione ed occupazione in Italia ed in Europa, Rapporto 1999).
Ancora nel 1999 si confermano le carenze di un sistema formativo che sembra
assai poco orientato alle esigenze delle imprese (Progetto Excelsior):
- il 34,6% delle assunzioni riguarda figure difficili da reperire;
- il 39% delle assunzioni richiederà ulteriori interventi formativi (55%
dei laureati, 45% dei diplomati);
- solo nel 7% dei casi la formazione viene intesa come servizio esterno.
In tutto il resto dei casi, la formazione viene intesa come competenza che risiede
già all'interno dell'azienda e che può essere assorbita dal neoassunto
attraverso l'affiancamento (che quindi non aggiunge valore o innovazione all'azienda
stessa).
In conclusione il rilancio competitivo del sistema economico italiano richiede, oggi più che mai, una forte qualificazione della formazione, un maggiore orientamento al mondo del lavoro, il sostegno all'immissione di profili professionali altamente qualificati ed una grande spinta delle imprese in termini di innovazione tecnologica ed organizzativa.