Una raccolta di articoli sulla formazione
a cura del Centro Studi Orientamento


NUOVE IDEE AL POTERE
di Roberto Panzarani - Presidente AIF

Tutte le imprese, grandi o piccole, sono chiamate ad affrontare oggi le sfide di uno scenario che cambia profondamente per l'impatto di due fenomeni, non nuovi, ma che presentano nuove dimensioni e connotazioni: il progresso della tecnologia e la globalizzazione dei mercati.
Sono dati obiettivi la crescente integrazione e interdipendenza dei sistemi economici, I'eliminazione delle barriere del tempo e dello spazio, la mobilità dell'innovazione tecnologica e organizzativa.
Su ogni mercato le nostre produzioni devono confrontarsi per prezzo, qualità, contenuto tecnologico, con le produzioni di concorrenti di tutto il mondo. Le nostre forze lavoro competono per un posto non solo con i lavoratori di Francia e Germania, ma anche con quelli di tanti Paesi emergenti, dove il costo del lavoro è un terzo, un decimo o un ventesimo di quello europeo.
Anche l'innovazione tecnologica contribuisce in modo nuovo a costruire la competitivitàdi un Paese. Chi vive in un ambiente produttivo sa che il progresso della tecnologia (e l'innovazione che ne consegue) è una condizione di vita. Senza innovazione non c'è competitività.
L'Italia affronta la sfida della tecnologia e della globalizzazione partendo da posizioni arretrate.
Investiamo nella ricerca e sviluppo 1'1,3% del Pil contro percentuali dal 2% al 3% degli altri maggiori Paesi. Le spese di ricerca rappresentano 1'1% del valore della produzione industriale, in aumento rispetto allo 0,6% dei primi anni Novanta, ma distanti dal 2,5% che si registra in Germania.
Dal punto di vista della valorizzazione del capitale umano, che è il patrimonio più importante di un Paese, viviamo un profondo squilibrio tra staticitàdel sistema educativo e diffusione delle nuove tecnologie. Ne consegue che il cambiamento, che per altre aree economiche è progresso, per noi è minaccia.
La sfida infatti posta da questa rivoluzione, come sottolineano William H. Davidow e Michael S. Malone nel loro libro "L'azienda virtuale", implica che le imprese che desiderano rimanere competitive devono imparare rapidamente a padroneggiare sia le reti informative, sia quelle delle interrelazioni. La tecnologia da sola, non accompagnata da cambiamenti adeguati nel resto dell'azienda, si riveleràun fallimento. Per la stessa ragione, questo processo di revisione delle strutture aziendali dovràessere rapido e completo.

Aspettative e timori
In questi ultimi anni si è scritto molto su come cambieràl'organizzazione aziendale di fronte alle nuove tecnologie di comunicazione e di produzione, alla competizione globale che richiede tempi di ciclo sempre più veloci, e alla diminuzione della forza lavoro.
Un primo passo nella direzione del cambiamento si compie snellendo l'organizzazione.
A tale proposito, Peter Drucker ha osservato che «dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli inizi degli anni Ottanta, c'è stata la tendenza a creare un numero sempre maggiore di livelli dirigenziali e di specialisti del personale. Ora la tendenza è nel senso opposto. Il risultato di una ristrutturazione organizzativa incentrata sull'informazione - che dovrànecessariamente essere intrapresa da tutte le grandi aziende - saràsenz'altro un taglio drastico del numero di livelli dirigenziali».
Strutture direttive rinnovate e meno articolate si rendono possibili nel momento in cui un sistema informativo diventa operante all'interno della organizzazione, la quale non saràpiù costretta a scegliere tra la centralizzazione, che assicura un controllo più serrato, e la decentralizzazione, che consente di prendere decisioni più rapidamente. Una efficiente circolazione dell'informazione permetteràdi mantenere al tempo stesso un controllo centralizzato e un potere decisionale decentralizzato. Ma per far funzionare questa nuova organizzazione bisognerà"imparare ad essere manager".
Il professor Kim Clark di Harvard ha scritto: «I dirigenti che finora si sono preoccupati soprattutto dell'investimento di capitale e dell'utile e si sono affidati a sistemi e procedure che pensavano sarebbero durati per sempre devono ora concentrarsi nella creazione di un ambiente dinamico in cui i loro collaboratori più creativi possano lavorare in pieno accordo».
Si tratta di un compito ancora più difficile di quanto sembri. Innanzi tutto, il personale alle dipendenze di questo nuovo tipo di organizzazione comprenderànon solo i tradizionali collaboratori ma anche dipendenti trasferiti temporaneamente da altri reparti per far parte di una task force, dipendenti part-time e perfino persone che non fanno parte dello staff dell'azienda ma lavorano per fornitori e distributori. Risulteràdunque estremamente impegnativo stabilire e tenere sotto controllo degli obiettivi per un gruppo così eterogeneo, valutare quando intervenire e quando invece tenersi in disparte o anche semplicemente stare al passo con l'intera gamma di interessi e responsabilitàdel gruppo.
Sicuramente dovràaffermarsi una gestione di tipo piu' partecipativo e, nella prospettiva di un sistema di questo genere, i timori di dirigenti e dipendenti sembrano convergere: la sola idea di questo tipo di cooperazione può infatti scatenare il panico tanto in quei manager che non hanno intenzione di rinunciare al proprio potere, quanto in quei dipendenti che non se la sentono di reggere il peso del comando.
Come hanno osservato in molti, una tale situazione rischia inoltre di condurre al caos, nel caso in cui ognuno si arrocchi sulla propria posizione e nessuno sia più investito del potere per dirimere la controversia.
Rosabeth Moss Kanter, della Harvard Business Review, ha studiato da vicino il cambiamento della natura delle relazioni tra management e dipendenti e ha scritto in proposito: «Via via che le unitàdi lavoro diventano più partecipative e orientate alla formazione di team, e che professionisti e impiegati di concetto acquistano maggiore importanza all'interno della azienda, la distinzione tra dirigente e non dirigente comincia ad attenuarsi. I manager devono imparare ad agire senza il sostegno della gerarchia».

Cinque fonti di motivazione
«Posizione, titolo e potere non sono più strumenti adeguati, soprattutto in un mondo in cui i dipendenti sono incoraggiati a pensare con la propria test a e i dirigenti devono lavorare in sinergia con altri reparti o addirittura con altre aziende. Il successo dipende sempre di più dalla capacitàdi scovare nuove idee e di individuare chi può contribuire alla loro realizzazione. In breve, il nuovo compito gestionale implica modi di ottenere e usare il potere del tutto diversi rispetto al passato».
La Kanter sostiene che un cambiamento di questo genere costringerài dirigenti a trovare dei metodi nuovi per motivare i propri dipendenti e ha individuato cinque possibili fonti di motivazione.
1. Missione: indurre i dipendenti a credere nell'importanza del proprio lavoro.
2. Controllo dell'ordine del giorno: offrire ai dipendenti la possibilitàdi tenere sotto controllo la propria carriera.
3. Partecipazione alla creazione di valore: ricompensare i dipendenti per il loro contributo di successo dell'azienda, in base ai risultati misurabili.
4. Apprendimento: offrire ai dipendenti la possibilitàdi acquisire nuove competenze.
5. Reputazione: offrire la possibilitàdi distinguersi in termini di riconoscimento pubblico o professionale.
In conclusione, scrive la Kanter: «L'impegno nei confronti dell'organizzazione è ancora importante, ma oggi i dirigenti lo esplicano soprattutto offrendo delle opportunità. La lealtànon è rivolta al capo o all'azienda ma ai progetti che realizzano una missione e offrono in cambio sfide, crescita e reputazione». Ma tutto questo è possibile realizzarlo solamente se si investiràin modo costante e significativo in programmi di formazione continua. Secondo le parole di Johanne Mc Cree, direttrice del personale della Ibm di Rochester: «La gente deve essere messa in grado di svolgere il proprio lavoro, non soltanto autorizzata».
Negli Stati Uniti un certo numero di aziende ha gi attivato per i propri collaboratori programmi di formazione pluriennale distribuiti lungo tutta la loro carriera.
Fra i più noti possiamo citare quello della Motorola che ha istituito addirittura una propria Universitàe quello della General Electric con il suo Centro di Formazione presso il Campus di Crotonville, vicino a New York. La Motorola ha in pratica 1.200 persone che sono in qualche modo coinvolte con la formazione. Di queste, la Motorola University ne impiega 110 come personale a tempo pieno e 300 a tempo parziale; 23 ingegneri progettisti svolgono il ruolo di presidi dei dipartimenti e il direttore di produzione ha la funzione di rettore. L'Universit ha l'obiettivo non solo di insegnare ai propri dipendenti come adeguarsi con prontezza alle nuove tecnologie, ma di coinvolgersi nell'obiettivo, di anticiparle.
Non insegniamo solo delle abilità, cerchiamo di infondere lo spirito stesso della creativitàe della flessibilitànella produzione e nella gestione.
Alla General Electric Aircraft Engines, quasi due terzi dei 38 mila dipendenti hanno seguito un corso di problem solving della durata di due giorni. Inoltre, lo stesso presidente Jack Welch è personalmente coinvolto in programmi di carnbiamento organizzativo e di sviluppo della leadership rivolti a tutti i dipendenti e il Campus di Crotonville è definito il "cuore dell'azienda" con il compito di "mettere in movimento tutte le risorse non utilizzate" dei propri collaboratori.

L'organizzazione che impara
Programmi simili a quelli "leader" della Motorola e della General Electric sono presenti anche in altre aziende americane come per esempio alla Levi Strauss o a Silicon Valley presso l'azienda di informatica Solectron che ha istituito anch'essa la Selectron University o alla Intel che affronta il problema di coordinare un'enorme manodopera spendendo piu' di duemila dollari per dipendente ogni anno per lo sviluppo delle competenze tecniche e per far acquisire i valori di base dell ' azienda , attinenti all ' etica del lavoro , alla responsabilitàdi affrontare i rischi e all'orientamento al cliente.
In tutte queste aziende il risultato piu' importante, a seguito di questi investimenti in formazione, e' stato l'incremento del profitto netto: la produttività(espressa in fatturato per dipendente).
In sostanza, dunque, I'organizzazione del futuro e' un'organizzazione che impara. In ogni momento e' contemporaneamente un insieme di competenze, attitudini ed esperienze, patrimonio di dirigenti e quadri, e complesso di informazioni sui propri prodotti, sulla propria struttura interna e sulle proprie relazioni con il mondo economico esterno.
Il primo aspetto interagisce con il secondo, in quanto lo analizza, lo "digerisce" e lo usa per migliorare l'organizzazione. Cio' richiede dei livelli di competenze di base e di training di tutti i dipendenti che puo' durare per l'intera carriera.
In Italia ci stiamo avviando a capire tutto questo, anche se, come dicevamo all'inizio, con enormi e rischiosi ritardi. Tuttavia la riflessione e' avviata e speriamo quanto prima di trarre il tutto in termini realizzativi


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