LA FORMAZIONE DEI PROFESSIONAL
di Enrico Auteri - Presidente AIF e Presidente ISVOR FIAT
Le nuove strategie di business e le nuove forme organizzative messe in atto dalle imprese nel corso dell'ultimo decennio, per rispondere alla crescente turbolenza, competitività e globalizzazione dei mercati, mettono in discussione alla radice le tradizionali modalità di lavoro e con esse la stessa struttura verticale e funzionale dell'impresa.
Per sostenere la competizione, le imprese moderne, piccole o grandi che
siano, hanno bisogno di perseguire condizioni che appaiono tra loro
contraddittorie:
- più specializzazione ma anche più integrazione;
- più autonomia e imprenditività ma anche più partecipazione al gioco di
squadra;
- più innovazione e creatività ma anche più rapidità e più efficienza.
Due "strumenti" sembrano sostituire i tradizionali sistemi di coordinamento e
controllo gerarchico e di integrazione tra le diverse funzioni aziendali.
Un primo "strumento" è l'utilizzo estensivo dei team, a tutti livelli della
organizzazione, come sistemi di integrazione, innovazione e gestione dei
processi produttivi e di business, sempre più orientati a soddisfare i bisogni
del "cliente".
Un secondo "strumento" è dato dai nuovi "ruoli professionali aperti". Essi
implicano una trasformazione degli specialisti e dei capi tradizionali verso
figure di "professionisti d'azienda" dotati di elevate competenze tecniche e
scientifiche ma anche di una visione puntuale dei processi di business e dei
problemi di management dell'impresa o delle sue unità componenti. Questi
nuovi ruoli professionali saranno caratterizzati:
- verso il basso, da figure di coordinamento e di animazione di gruppi di
lavoro e di micro-strutture centrate sui processi;
- verso l'alto, da figure di "professionisti manager" che associano elevate
competenze tecniche con maggiori responsabilità e competenze manageriali.
Questo cambiamento sta provocando mutamenti su tutte le dimensioni della vita professionale delle persone e richiede, pertanto, politiche di gestione delle risorse umane che tengano conto dei nuovi contenuti di lavoro e della configurazione dei ruoli, delle modalità di lavoro e delle competenze e, di conseguenza, di criteri di selezione, di modelli di carriera, di formazione e di sviluppo, di sistemi di retribuzione e riconoscimento coerenti.
Fra le molteplici attenzioni che vanno a qualificare una politica di sviluppo dei
"professional", ci sembra utile sottolinearne due.
La prima è data, a nostro avviso, dal rafforzamento delle comunità
professionali aziendali che possono offrire alle persone un contesto sociale,
cognitivo e culturale entro cui collocare la propria azione e il proprio impegno.
L'indebolimento delle strutture gerarchiche e la sempre minore significatività
dei sistemi di inquadramento, come fonti di identità e di riconoscimento per le
persone, possono essere contemperati dalla costituzione e animazione di
sistemi professionali che siano in grado di saldare l'esperienza di lavoro
individuale con l'esperienza di appartenenza ad una organizzazione.
La identificazione, come la definizione e l'animazione di professioni e famiglie
professionali, disegnate sui processi di business dell'impresa e accomunate
da strutture professionali omogenee (curricula di studi, obiettivi e risultati,
competenze e capacità, teorie e tecniche di riferimento, percorsi di sviluppo,
deontologie ecc.), può offrire alle persone una opportunità per comprendere il
campo di gioco in cui possono dipanarsi le traiettorie professionali individuali,
spostando l'attenzione dagli organigrammi (sempre più snelli ma anche
mutevoli) alla realtà dei processi "produttivi" (di innovazione, di produzione, di
servizio) e dei processi sociali e culturali che debbono assicurare lo sviluppo
dell'impresa e la crescita professionale delle persone.
Le professioni aziendali e le famiglie professionali devono costituire il "forum
formativo sociale e produttivo" entro cui le persone possono collocare il
proprio impegno e le proprie energie, la "comunità" che sostiene le persone
stesse, mettendole in rapporto con il resto dell'impresa e con la comunità
professionale esterna.
Quest'ultima considerazione contribuisce a far acquisire un nuovo ruolo alle
Associazioni professionali, espressioni organizzate eteroaziendali di quelle
che abbiamo chiamato famiglie professionali.
Le Associazioni, e soprattutto quelle "storiche", tendono oggi, superando
orientamenti prevalenti di rappresentanza e di salvaguardia, a convergere
verso obiettivi orientati ai valori del servizio e della crescita professionale
(l'AIF - Associazione Italiana Formatori, che pro tempore rappresento,
costituisce un significativo esempio di quest'ultima missione).
Una seconda linea di intervento è rappresentata dalle politiche formative e dal
sistema adottato per attuarle.
Nel merito la formazione dovrà essere "ridondante" rispetto alle necessità
professionali del momento.
Non vorrei con questa espressione creare equivoci: "ridondante" sta a
significare che essa non sarà orientata solo ad aggiornare e integrare
conoscenza e capacità, ma anche a sviluppare competenze gestionali,
tecnico-professionali e sociali ampie, atte ad assicurare capacità di
evoluzione e di adattamento alle mutevoli condizioni organizzative,
tecnologiche e di processo.
Attraverso la formazione le persone dovranno anche "apprendere ad
apprendere", ovvero dovranno acquisire modelli, motivazioni e capacità per
guidare anche autonomamente, in rapporto alla propria comunità
professionale, il processo di ininterrotto sviluppo e aggiornamento
professionale, come già accade nelle professioni tradizionali e fra i nuovi
professionisti/imprenditori.
La progettazione e la gestione di sistemi di aggiornamento e di
apprendimento continuo è la principale sicurezza che l'azienda può offrire alle
persone per il loro futuro.
� indispensabile, pertanto, superare decisamente le prevalenti prassi che
vedono la formazione come un fatto episodico, volta a recuperare con fatica
gap conosciuti e accumulati nell'organizzazione, vissuta come costo dai non
chiari ritorni e quindi non sempre sostenibile dai difficili budget aziendali.
Il potenziamento della qualificazione reale delle persone è un investimento
che l'impresa deve fare a beneficio dello sviluppo delle persone e della
propria competitività.
Il benchmarking, la ricerca-formazione, l'analisi di casi di successo e di
insuccesso faranno parte integrante dei processi formativi.
Si sta potenziando e si potenzierà ulteriormente l'integrazione con le
università e con i centri di eccellenza nazionali e internazionali.
La formazione e la dimostrazione delle competenze apprese sarà parte,
inoltre, di un processo certificativo, più o meno formalizzato, necessario ad
assicurare lo standard di competenza e di qualificazione indispensabile per
sostenere con successo i processi "core" dell'impresa e quindi la qualità e
l'affidabilità del prodotto/servizio.
I due campi d'intervento delineati, ed altri che si possono individuare (come
ad esempio: la comunicazione interna, le nuove metodologie di valutazione
delle competenze e delle performance), hanno comunque un obiettivo di
base: motivare i professional e quindi dare continuità qualitativa e quantitativa
alle loro performance.
Il problema, dunque, non è soltanto quello di trasferire conoscenze e
competenze: gli studi in materia affermano che "se il trenta per cento delle
persone di un'organizzazione usasse con persistenza e motivazione il
settantacinque per cento delle competenze, il successo sarebbe assicurato".
Il problema è anche e soprattutto quello di creare le condizioni organizzative e
gestionali che consentano di porre in essere, e di riproporre nel tempo,
comportamenti positivi ed efficaci.
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